15 aprile 2008

REGINE DEL FREE CLIMBING

Qui di seguito troverete l’articolo pubblicato sul numero di Marzo-Aprile di Prealpi Orobiche, quotidiano dedicato agli sport legati al mondo della montagna nelle valli lombarde.







Regine del Free Climb


Alla scoperta dell’arrampicata sportiva al femminile                



E’ il 19 settembre del 1994. Non è ancora molto diffuso internet e la notizia arriva in Italia con calma, ma fa scalpore: Lynn Hill, arrampicatrice americana, già nota nell’ambiente del free climbing, scala in arrampicata libera la maestosa via del Nose sul Capitan, una parete di quasi mille metri nel Parco statunitense dello Yosemite, e con difficoltà estreme. Un’impresa che lascia a bocca aperta tutti e non solo perché è una donna l’autrice di questa realizzazione ma soprattutto perché nessun uomo prima di lei ne era stato capace. Lynn Hill e la francese Catherine Destivelle riescono per la prima volta a trasferire su grandi pareti la loro esperienza di arrampicatrici sportive. Entrambe cominciano la loro carriera sulla roccia, partecipano poi con grande entusiasmo alle prime gare di arrampicata sportiva e continuano la loro esperienza visitando senza sosta i più importanti ed i più remoti siti di scalata del mondo.

L’evoluzione dell’allenamento mette in mostra nuove atlete, a dimostrazione del fatto che l’arrampicata è uno sport in pieno sviluppo. La basca Josune Bereziartu, negli ultimi dieci anni è senza dubbio la donna che più di tutte ha aperto le porte verso un futuro ricco di sorprese: 9a+ lavorato e 8b+ a vista sono numeri importanti, vicinissimi alle più importanti realizzazioni maschili e che dimostrano quanto sia in evoluzione questo sport.



I due racconti che seguono, di Gloria Gelmi e Laura Scandelli, dimostrano che neppure le arrampicatrici orobiche se ne stanno con le mani in tasca. Dalle loro parole si comprende che può esserci anche uno stile di arrampicata che non mira solo alla prestazione, ma piuttosto permette di conoscere luoghi e persone altrimenti invisibili.



Gloria Gelmi si racconta


Io non sono un’alpinista famosa, non ho fatto grandi imprese, non ho mai aperto vie difficili. E forse non sono neanche un’alpinista.

Sono una dei tanti che hanno passato una buona parte della propria vita a stringere dei pezzi di roccia tra le dita, a litigare con la forza di gravità: in montagna, in falesia, al mare… E, come molti, mi sono chiesta perché dedicare tanto tempo ed energie a qualcosa di inutile, sottraendole ad altre cose forse più importanti.

Io non vengo nemmeno da una famiglia di alpinisti, ma ho iniziato ad andare in montagna a 13 anni, per una sorta di attrazione fatale, con il CAI del paese in cui vivevo. Ciò che desideravo di più, però, era arrampicare, e per quello la mia Sottosezione non poteva offrirmi abbastanza.

Così, a 15 anni ho preso la mia strada, da autodidatta. Iniziando a scalare tutto ciò che era scalabile: i muri di casa mia, sotto lo sguardo perplesso dei vicini, i sassi della Val di Mello, gli scogli della Sardegna. Con i compagni di cordata più disparati, sempre alla ricerca di gente con cui arrampicare. Salendo alcune delle vie famose che “bisognava” fare, per aggiungere dei pezzi alla collezione.

Con la scusa dell’arrampicata ho girato il mondo, ho visto tanti modi diversi di scalare, ho conosciuto tanta gente. Ho salito migliaia di monotiri in falesia e qualche centinaio di vie di più tiri: ma quante altre ne avrei potute salire se solo avessi avuto i compagni giusti al momento giusto, perché idee e voglia non mi mancavano!

Nel 1984, a Grimsel (Svizzera), partecipai per la prima volta ad un raduno del movimento internazionale di alpiniste Rendez-Vous Hautes Montagnes (RHM). E scoprii con piacere che c’erano decine, centinaia di donne come me, di ogni età e di tante nazioni. Anche da noi ci sono tante alpiniste ed arrampicatrici, a volte molto brave, ma è raro incontrare cordate femminili: spesso le donne in montagna o in falesia sembrano lì più per accompagnare un uomo che per seguire una propria passione. Ancora oggi, mi sembra che continui a mancare quel senso di autonomia che vedo invece diffuso all’estero: forse è un problema culturale tipicamente italiano, e potremmo estendere il discorso ad altri campi… Comunque sia, per me il RHM ha rappresentato moltissimo: da allora ho partecipato quasi ogni anno ai suoi meeting – organizzandone anche un paio nel nostro paese - e dal ’99 ne sono la delegata per l’Italia.

Io sono un’alpinista dilettante: considero l’arrampicata uno dei piaceri della vita e spero che lo possa rimanere a lungo. Il mio lavoro è stato per molti anni occuparmi di ambiente, come funzionario della Provincia di Bergamo, ed ora sono il Mobility Manager di quest’Ente. Ma l’alpinismo e l’arrampicata hanno sempre avuto un posto importante nella mia vita, sfuggendo al ruolo di semplice hobby ed andando a caratterizzare altre mie esperienze. Così, la mia tesi sperimentale di laurea in Scienze Naturali - dedicata alla flora rupicola della Presolana - rappresentò

un connubio tra arrampicata e botanica. E poi ci furono le gare di arrampicata, l’esperienza dell’insegnamento (diventai istruttrice FIAR nel 2001), i racconti ispirati al mondo della montagna con qualche riconoscimento al premio di narrativa “Carlo Mauri”.

Certo, i risultati sono importanti, ma per me il “come” si arrampica lo è altrettanto. Ho praticato diversi sport – in particolare il judo, per molti anni – e sempre mi ha affascinato la tecnica, lo stile, l’eleganza del movimento, il modo per ottenere un gesto atletico meno faticoso e più efficace. Anche nell’arrampicata ho voluto approfondire questi aspetti, cercando un’armonia tra roccia, corpo e mente e volendola collocare nel contesto più ampio del mio modo di vivere. Tecnica efficiente e riduzione dell’impatto ambientale dell’arrampicata, infatti, sono i due elementi caratterizzanti l’associazione sportiva “Climbing for Women”, che qualche anno fa costituii proprio per diffondere questi messaggi.

Fin da quando ero bambina, le problematiche ambientali e le strategie per un futuro sostenibile sono state una mia passione, divenendo poi anche la mia professione. E vedo la difficoltà di conciliare gli sport in montagna con uno stile di vita eco-compatibile. Vedo gli aspetti consumistici e distruttivi di queste attività, come pure le contraddizioni di noi alpinisti, che vorremmo sfuggire ad una società alienante e ne ricreiamo i meccanismi nel nostro piccolo mondo egoistico.

Perciò, cerco di fare la mia parte. E dopo 28 anni di arrampicata continuo ad amarla, e spero di poter andare oltre il 7b “a vista” e il 7c+ “lavorato” cui sono arrivata, perché questo – per fortuna – è uno sport “geriatrico” in cui la forza da sola non basta e l’esperienza conta qualcosa. Ma so anche che mi piace fare altre cose, come suonare la chitarra o andare a camminare o correre sui monti sopra casa (abito a Gandino), e che non riesco a passare le ore tirando prese artificiali su un pannello, perché provo molto più gusto a scalare in mezzo alla natura. Tutto ciò va a discapito dei potenziali risultati, ma ho anche capito che una via in più o in meno non ti cambia la vita. Perché è più importante riuscire a vivere con consapevolezza ogni momento, a stare bene con se stessi e con gli altri, a lasciarsi alle spalle impronte poco profonde su questo pianeta malridotto. Questa è la via più difficile che possiamo tentare, ed io non sono ancora riuscita a salirla. Ma mi sto allenando per farlo.     




Laura Scandelli si racconta


Tutto iniziò nella primavera 1999, quando io, Laura Scandelli, nata a Romano di Lombardia nel 1973, all’età di 26 anni, decisi di fare un corso presso il CAI di Bergamo per arrampicata su cascate di ghiaccio.

Sino ad allora la mia attività si era sviluppata tra tornei di pallavolo e sport a livello amatoriale come il nuoto, la corsa, lo sci, le camminate in montagna e un po’ d’alpinismo fatto salendo alcune pareti nord delle Alpi come quelle del Brenta e del Ciarforon (nel massiccio del Gran Paradiso), e altre vette lungo vie normali come il Pizzo Palù, il Breithorn, la Presanella e più avanti ( già nel 2002) il Monte Rosa, Il Pasquale (per la Nord), l’ Urus (5500 metri di quota; montagna della Cordillera Blanca in Perù) e il tentativo non riuscito all’ Alpamayo (6000 metri di quota; sempre in Perù). Belle esperienze, nulla di particolarmente estremo, che mi hanno regalato emozioni e nuovi entusiasmi.

Fu nello stesso anno 1999 che conobbi l’ uomo capace di trasmettermi un’ intensa passione per l’ arrampicata, Bruno: un vero guerriero in campo, con una energia oltre ogni misura. Con lui intrapresi il lungo e irto cammino verso orizzonti sempre nuovi, ingaggianti, diversi. Sì, perché se in te c’è un fuoco che brucia, se i tuoi giorni hanno significato quando la lotta è una prova con te stessa, se la gioia scaturisce dal sentire, in quelle salite, tutta l’energia, la caparbietà, la paura, ma anche e soprattutto l’armonia di un corpo che danza, di un pensiero che vola, allora puoi e devi arrampicare. E’ difficile descrivere quante emozioni in pochi istanti possono fluire in noi. L’arrampicata mi ha obbligato ad un confronto, quello con la paura del vuoto, del volo, della non riuscita, ma infine mi ha donato la capacità di parlare con la parte più nascosta del mio essere. Così con il mio trasferimento a Trescore Balneario, dove abito attualmente, si consolidò il fantastico rapporto con questa disciplina sportiva. Arrampicare divenne per noi uno stile di vita. Trascorrevamo le giornate di tempo libero ai piedi delle pareti con il cuore ricco di gioia, sorpresa e ricerca. L’amore così coinvolgente e maturo si tradusse anche nelle arrampicate di vie multipich a carattere sportivo; ricordo con commozione quando salimmo in libera la via “ Mediterraneo” alla Punta Giradili in Sardegna: l’essere sospesi 300 metri sopra il mare ci trasmetteva tutta l’ intensità di un momento veramente unico, speciale, totalizzante. Questo continuo errare nella novità fu da sempre fonte di grande motivazione per me. Ad oggi, all’ età di 34 anni sono felice per aver salito negli ultimi 4 anni, sopra il grado sette, circa 130 vie on sight e 225 vie lavorate sino al 7b+, 4 vie lavorate di 7c e concludendo con l’ultima realizzazione di 8a. Il giorno che arrivai in catena a questa lunghezza, non riuscii a trattenere il pianto perché mai mi sarei immaginata di potercela fare. Era un bel sogno, ma da sempre lontano. Al di là dei numeri più o meno significativi credo che il fondamento di tutto sia provare ad oltrepassare i propri limiti, investire per un ideale e condividere con amici la bellezza di luoghi magici nei loro profumi, nella loro storia, nella loro cultura. L’ unione con gli altri ci regala la possibilità di rapporti sempre importanti per quanto anche solo un gesto, un sorriso, una parola possono arricchire la nostra vita. Ciò che è natura, in realtà è la nostra origine e forse per questo ne deriva un’irresistibile attrazione. Progetti futuri non ne ho se non la convinzione di dare sempre il massimo. Ringrazio in maniera particolare il mio compagno Bruno che condivide con me ogni difficoltà ed ogni felicità, e la mia famiglia che ha contribuito in maniera essenziale a trasmettermi serietà, profondità e serenità.